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L'IMPENETRABILE MISTERO DELLA MATERIA OSCURA.

  • Photo du rédacteur: Andrea
    Andrea
  • 2 sept. 2023
  • 10 min de lecture

Se trovate qualcuno su YouTube, in televisione o per strada che vi dice di sapere cos'è la materia oscura, potete essere certi che vi sta mentendo o che presto partirà per Stoccolma per ritirare un premio Nobel. La materia oscura è uno dei misteri più impenetrabili che avvolgono l'astronomia moderna: un concetto teorico che si manifesta in maniera straordinariamente reale con effetti gravitazionali osservabili ovunque nell'Universo.


Ma esiste davvero la materia oscura? Come possiamo esserne sicuri se nemmeno sappiamo cosa sia?


Il video percorre che le tappe principali che hanno portato alla sua scoperta, gli studi di Vera Rubin sulla curva di rotazione delle galassie e le teorie più dibattute che hanno tentato di spiegare la natura della materia oscura.



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Secondo gli astrofisici, oltre l'80% dell’universo sarebbe composto da una forza misteriosa, mai osservata direttamente, la cui natura ci sfugge nella maniera più assoluta, ma la cui presenza è riscontrabile praticamente ovunque nel cosmo.



ANOMALIE GRAVITAZIONALI.


Nel 1933, l’astronomo svizzero Fritz Zwicky scoprì un'anomalia gravitazionale di quelle che non si sarebbe mai aspettato di scoprire. Eh già… in astronomia molte storie hanno inizio con un’anomalia gravitazionale.

Studiando l’ammasso della Chioma di Berenice, un gruppo di numerose galassie che si trova a più di 300 milioni di anni luce di distanza, si accorse che le velocità di spostamento delle galassie erano notevolmente superiori a quanto atteso.


Ora, detto così “le galassie andavano troppo veloci”, potreste dire che si può trovare di meglio come gran mistero dell’universo, ma invece no: la velocità delle galassie era un problema che di lì a poco avrebbe cambiato il corso della storia dell’astronomia.


Possiamo intuire che, per un pianeta, “orbitare intorno al Sole” implica un equilibrio tra la forza centripeta della gravità che lo attira verso il Sole e la forza centrifuga generata dalla sua rotazione che lo spinge verso l'esterno del sistema.


Allontanandosi dal Sole, la forza di gravità che agisce su un pianeta si affievolisce, riducendo progressivamente la velocità (e quindi la forza centrifuga) necessaria per mantenere un'orbita stabile.


Da questa relazione, che trova origine nella teoria della gravitazione universale di Newton, emerge che, partendo da una velocità e conoscendo le distanze, è possibile calcolare la massa responsabile della forza gravitazionale.


E il problema che si presentò a Zwicky, esteso ora alla scala delle grandezze dell'ammasso della Chioma di Berenice, riguardava proprio questo principio fondamentale del moto degli astri. Misurando le velocità di spostamento delle galassie, Zwicky si rese conto che le forze gravitazionali che avrebbero giustificato tali velocità implicavano la presenza di una quantità di massa e di materia notevolmente superiore a quella che invece sembrava esistere nell’area in questione. Dove diavolo era tutta la materia mancante?


Zwicky fu così il primo ad imbattersi in quella che oggi chiamiamo “materia oscura”: uno scherzo della natura, qualcosa di apparentemente invisibile ed inosservabile se non per gli effetti gravitazionali che provoca.




C’E’ MA NON SI VEDE.


La comunità scientifica dell’epoca sembrava impreparata ad affrontare un enigma di questa portata e il carattere brusco e conflittuale dello stesso Zwicky contribuì a relegare le sue considerazioni tra le scoperte senza troppo seguito. Dovremo aspettare fino agli anni ‘70 perché questa fantomatica materia mancante torni al centro del dibattito scientifico grazie agli studi sulla rotazione delle galassie condotti da Vera Rubin.


Per capire almeno a grandi linee gli studi di Vera Rubin, dobbiamo prima aprire una parentesi sull’effetto Doppler. Avrete forse già sentito il classico esempio del suono di un clacson che quando si avvicina verso di noi percepiamo come sempre più acuto, mentre diventa più grave man mano che si allontana, nonostante il suono effettivo del clacson sia in realtà rimasto costante sempre sulla stessa tonalità.


Questo fenomeno è dovuto al fatto che, nell’avvicinarsi a noi, le onde sonore vengono compresse nella direzione del movimento, diminuendo progressivamente la lunghezza d’onda e provocando un suono che percepiamo come sempre più acuto man mano che l’auto si avvicina. Allo stesso modo, l’allontanamento della fonte che emette il suono fa sì che le onde ci raggiungano più “distese”, con una lunghezza d’onda più grande ed un suono più grave.


L’effetto Doppler si produce per qualsiasi tipo d’onda, compresa la luce, e questo lo rende un fenomeno prezioso per calcolare velocità e direzione degli oggetti astronomici lontani.


Nel caso degli studi di Vera Rubin, su un lato della galassia, le stelle tendono ad avvicinarsi al punto di osservazione, mentre sull'altro lato tendono ad allontanarsi. In conseguenza dell'effetto Doppler, la luce di una stella in avvicinamento apparirà spostata verso il blu a causa della compressione delle onde elettromagnetiche e della conseguente diminuzione della lunghezza d'onda. Inversamente, la luce delle stelle in allontanamento sembrerà spostata verso il rosso a causa del fenomeno opposto. Ovviamente, maggiore sarà lo spostamento verso il blu o verso il rosso, maggiore sarà la velocità di avvicinamento o di allontanamento .


Così come Zwicky 40 anni prima, anche Vera Rubin si trovò di fronte alle medesime anomalie. La materia osservabile all'interno delle galassie non poteva generare le forze gravitazionali necessarie a giustificare le velocità di spostamento delle stelle. E tenete ben presente che spesso e volentieri l’astronomia vanta la sua meticolosità nel considerare come anomalie anche degli scarti minimi, ma qui parliamo di più dell’80% di massa mancante, non di uno scarto per i soliti pignoli.


Si trattava di un’anomalia che scuoteva il mondo dell’astronomia e le basi delle sue conoscenze.


Osservando la cosiddetta "curva di rotazione delle galassie", ci si aspetterebbe che quanto più una stella si allontana dal centro galattico, tanto più dovrebbe rallentare la sua velocità orbitale. Questo è analogo al comportamento dei pianeti nel sistema solare che abbiamo visto poc'anzi e rispecchia la legge di Newton che stabilisce come la gravità diminuisca proporzionalmente al quadrato del raggio della distanza.


E invece no, Vera Rubin si accorse che, per qualche ragione, questa legge universale, fino ad allora considerata infallibile, sembrava non applicarsi alle stelle che orbitavano nelle galassie, in quanto il loro moto era relativamente costante indipendentemente dalla loro distanza dal centro galattico.


In questa simulazione, a sinistra vediamo la rotazione prevista per una galassia in funzione della materia osservabile di cui la galassia stessa si compone e delle forze gravitazionali che ne conseguono. Mentre a destra, la simulazione rivela ciò che avviene nella realtà studiata: le stelle ai margini della galassia orbitano a velocità nettamente superiori rispetto a quanto previsto dalle leggi fisiche conosciute.


Tutte le curve di rotazione delle diverse galassie analizzate convergevano verso lo stesso risultato, la stessa anomalia e la stessa evidenza che oramai si spalancava agli occhi di Vera Rubin e della comunità scientifica, senza possibilità di fuga. Le leggi di Kepler e di Newton che permettevano agli astronomi di calcolare con precisione il moto degli astri, qui…sembravano andare in frantumi.

O meglio, affinché le equazioni di Kepler e Newton potessero ancora essere applicate correttamente, diventava ormai imperativo ipotizzare l'esistenza di una forma di materia che, sebbene non fosse osservabile in nessuno spettro della luce visibile o invisibile, possedesse comunque una massa tale da avvolgere le galassie e da esercitare una forza gravitazionale sufficiente a spiegare le velocità anomale delle stelle periferiche.


Grazie ai suoi studi, si attribuisce a Vera Rubin il contributo principale nella scoperta della “materia oscura”. Non ricevette mai il premio Nobel, nonostante molti considerino oggi che sarebbe stato un riconoscimento per il suo contributo alla scienza ben più adeguato dell’aver dato il suo nome ad un asteroide: 5726 Rubin.




UN MISTERO SENZA SOLUZIONE.


La comprensione della materia oscura è divenuta una sorta di ricerca del Santo Graal della scienza.

E se è vero che per il momento non sappiamo esattamente cosa sia, in contropartita possiamo escludere alcune ipotesi con relativa certezza.


Per esempio sarebbe plausibile pensare che la massa mancante sia attribuibile a semplice materia ordinaria, con dimensioni o luminosità talmente ridotte da sfuggire agli strumenti. Per esempio i pianeti che a milioni di miliardi sicuramente popolano ogni galassia, oppure le nane brune ("stelle mancate" che non hanno raggiunto la massa sufficiente per innescare le reazioni termonucleari), o anche le nane rosse che, sebbene siano stelle vere e proprie, possiedono una scarsa luminosità e rappresentano la stragrande maggioranze delle stelle nell’universo.


Questa classe di oggetti, coniata negli anni '90 con l'acronimo MACHOs (Massive Compact Halo Object), è stata la prima ipotesi avanzata per spiegare la massa mancante, ma è stata anche scartata piuttosto rapidamente, in quanto anche la stima più ottimistica della loro massa non rappresenterebbe che un’infima frazione della materia mancante.


Dovremo quindi cercare qualcosa di più esotico della semplice materia ordinaria.


Magari l’antimateria? Ma no… la materia oscura, o comunque questa massa mancante, non può essere costituita da antimateria, perché l'antimateria emette raggi gamma ad alta energia ben riconoscibili quando interagisce con la materia ordinaria.


Allora un'altra pista a lungo esplorata riguarda le particelle WIMP, acronimo di Weakly Interacting Massive Particles, ed in particolare i neutrini. Queste particelle subatomiche condividono con la materia oscura la proprietà di interagire in modo molto debole con la materia ordinaria, e per un momento si è quindi ipotizzato che la materia oscura potesse essere costituita proprio da queste particelle. Ma sembra che anche questa non sia la strada giusta: gli studi hanno reso sempre più evidente che la massa dei neutrini non potrà mai corrispondere a quella quantità che stiamo cercando.


La fisica quantistica ha poi ipotizzato l'esistenza di altre particelle subatomiche, quali gli assioni o le cosiddette particelle supersimmetriche, che potrebbero potenzialmente spiegare la natura della materia oscura. Ma l'assenza di risultati concreti comincia seriamente a far dubitare della loro stessa esistenza.


E allora… che dire dei buchi neri? Massivi, presenti ovunque nel cosmo e difficilmente osservabili: potrebbero essere loro la materia invisibile che stiamo cercando. Ma…di nuovo, no, perchè un buco nero è, sì, una grande quantità di materia, ma condensata in uno spazio molto ridotto. Mentre la materia oscura sembra comportarsi in modo completamente opposto distribuendosi in maniera non particolarmente densa ma estesa su aree di smisurata grandezza.


Inoltre, ciò che rende un buco nero invisibile è la sua proprietà di assorbire ogni radiazione luminosa intrappolandola nella sua gravità estrema, mentre la materia oscura non è che non rifletta la luce o che la intrappoli da qualche parte, sembra proprio mancare di qualsiasi forma di interazione con tutto ciò che ci è familiare: radiazione luminosa o materia ordinaria composta da neutroni e protoni.


Più che “oscura”, dovremmo definirla "trasparente", poiché l’unica traccia che lascia è una sorta di “impronta gravitazionale”.




UNA NUOVA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE?


MACHOs, antimateria, WIMPs, neutrini, buchi neri... nulla sembra poter essere considerato un candidato plausibile per spiegare la materia oscura. Ma se invece di cercare una presunta massa mancante per risolvere il problema, considerassimo la possibilità che siano proprio le leggi fondamentali della fisica a dover essere rivedute?


In fondo, non sarebbe la prima volta che accade. Un secolo fa ci si interrogava sull’anomalia del perielio di mercurio che si scostava da quanto descritto dalle leggi della gravitazione universale di Newton. Si ipotizzò allora la presenza di un fantomatico pianeta nascosto tra il sole e mercurio che l’astronomia battezzò Vulcano, fino a quando Einstein non propose la teoria della relatività che spiegò l'orbita di Mercurio con l’introduzione della nuova geometria dello spazio-tempo e senza la necessità di introdurre l’inesistente pianeta Vulcano.


Senza saperlo potremmo trovarci nella stessa situazione di un secolo fa: con un'anomalia gravitazionale che cerchiamo di spiegare con l'ipotetica presenza di un nuovo oggetto astronomico, quando invece la chiave del mistero potrebbe risiedere nella nostra comprensione della gravità stessa.


Ed è proprio questa l’idea di fondo del fisico israeliano Milgrom che nel 1983 pubblica una teoria che dimostra come una modifica della meccanica newtoniana sarebbe in grado di spiegare con esattezza le discrepanze nelle curve di rotazione delle galassie. Milgrom parte dalla constatazione che, in prossimità del centro galattico, il moto delle stelle è coerente con quanto previsto dalla gravità newtoniana, non c’è bisogno di materia oscura. È solo nelle regioni periferiche che le orbite stellari sono troppo veloci. E Milgrom rileva che il punto critico in cui la materia ordinaria osservabile inizia a non poter più giustificare l’eccessiva velocità delle stelle è lo stesso in tutte le galassie ed è quindi convinto di aver individuato quella soglia critica, quel valore preciso di intensità di un campo gravitazionale al di sotto del quale le leggi di Newton devono essere modificate, integrando una nuova costante fondamentale, che indica con a0. Questa è la teoria MOND (acronimo di Modified Newtonian Dynamics).


La teoria MOND prevede che, se in condizioni normali (o meglio: se in condizioni come quelle che possiamo sperimentare qui sulla terra) la forza di gravità diminuisce seguendo la regola dell'inverso del quadrato della distanza come enunciato da Newton, in condizioni con campi gravitazionali più deboli (come quelli che verificano allontanandosi dal centro galattico), l'aumento della distanza comporta una diminuzione della gravità del solo rapporto della distanza (invece che della distanza al quadrato).

In parole più semplici, la teoria MOND suggerisce, al di sotto di un preciso punto critico di intensità del campo gravitazionale, un aumento ulteriore della distanza comporta una diminuzione della gravità meno pronunciata rispetto a quanto previsto dalla teoria di Newton, che rimane comunque valida al di sopra di questa soglia.


Ora, potrebbe sembrare azzardato modificare le leggi di Newton in questo modo, ma in fondo non abbiamo mai avuto l'opportunità di sperimentare direttamente il comportamento della gravità in presenza di campi così deboli come quelli presenti nelle zone periferiche delle galassie. E la cosa straordinaria è che la teoria MOND funziona! Sembra risolvere precisamente le anomalie della curva di rotazione di molte galassie, fornendo quindi una spiegazione che non richiede l'esistenza della fantomatica materia oscura…


… o quasi… perché in realtà, non è così semplice sbarazzarsi della materia oscura e numerose evidenze richiedono ancora la sua esistenza per poter essere spiegate.


Innanzitutto la teoria MOND non funziona così precisamente proprio per tutte le galassie e su tutte le scale di grandezza, quando invece la materia oscura offre una spiegazione coerente in ogni scenario. Inoltre esistono altri indizi, se non addirittura prove, dell’esistenza della materia oscura o comunque di qualcosa dalle proprietà simili: come per esempio l'effetto di lente gravitazionale osservabile ovunque nel cosmo e dovuto proprio alla gravità di “qualcosa di inosservabile” che devia la traiettoria della luce proveniente dagli oggetti distanti.

E la teoria MOND non può spiegare questo fenomeno.


La presenza di materia oscura non è solo una spiegazione plausibile per la curva di rotazione delle galassie, ma lo è anche per la struttura di tutto l'universo osservabile. Le evidenze della radiazione cosmica di fondo, insieme alla formazione e alla distribuzione della materia ordinaria nelle strutture dell'universo conosciute, continuano a suggerire l'esistenza della materia oscura.


Anzi, per dirvi fino a che punto sia cruciale nei nostri modelli cosmologici: si stima che senza la materia oscura, le galassie avrebbero richiesto un periodo di formazione così lungo, che non dovrebbero nemmeno ancora esistere.




CONCLUSIONE


La materia oscura è un mistero che per il momento non trova risposta.

Tuttavia è importante comprendere come non sia una stravagante invenzione escogitata dalla comunità astrofisica per giustificare qualcosa di inspiegabile. Perché là fuori, c’è davvero qualcosa con le proprietà comunemente attribuite alla materia oscura. Lo sappiamo.


Una deduzione, più che un’invenzione. Una presenza di cui si avverte chiaramente l’esistenza attraverso gli indizi che lascia e gli effetti che produce. Un concetto teorico che risulta straordinariamente reale.


E’ importante ricordare infine che la materia oscura non deve essere confusa con l”energia oscura”. Sebbene facciano entrambe parte del panorama astronomico, sono entità ben distinte che poco hanno in comune se non l’impenetrabile mistero che le circonda.


Ma non sono pochi gli scienziati convinti che sia solo una questione di tempo prima che l’identità e la vera natura della materia oscura vengano comprese e svelate al grande pubblico. E allora un altro capitolo nella storia delle conoscenze umane potrà essere scritto.


Nel frattempo, cari amici, continuate ad appassionarvi di scienze.

A presto.




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